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COVID 19 E MODELLO DI SVILUPPO
Due crisi la stessa soluzione
” No volveremos a la normalidad porquè la normalidad era el problema “.
Così i ragazzi del FridaysForFuture di Madrid, con efficace semplicità comunicativa,interpretano il senso della grande sfida che ci attende nei prossimi mesi.
Se è vero che non è ancora chiaro quale influenza abbiano avuto i cambiamenti climatici nella frequenza anomala delle ultime grandi epidemie (Aviaria, SARS, Mers, Ebola e ultimo il COVID-19) è altrettanto vero che negli ultimi anni si sono moltiplicati gli allarmi del mondo scientifico rispetto ai pericoli, non ultimo quello epidemiologico, dovuti dalle profonde incursioni umane nell’ambiente naturale.
Le deforestazioni, lo sviluppo abnorme di allevamenti intensivi e monocolture, le minacce alla biodiversità, la distruzione degli habitat naturali che modificano le naturali separazioni tra le specie favorendo il contagio di forme virali, la stessa denutrizione e mal nutrizione che affligge ampie zone del pianeta, sono elementi che hanno facilitato il “salto di specie” come già da anni previsto da studi dell’OMS e ben spiegato dall’epidemiologo Rob Wallace in “COVID-19 ad circuits of Capital” (Monthly Review 05/2020).
La recente emergenza pandemica, come già la crisi climatica, ma come anche tante crisi locali (penso all’ex-ILVA o ai “gilets jaunes” francesi) hanno evidenziato la distorsione profonda di questo sistema di sviluppo che in nome del profitto, contrappone economia e scienza e che spesso ha messo in crisi anche l’impianto democratico delle autonomie nazionali.
Un modello di sviluppo che pone il profitto al di sopra di ogni interesse e che vorrebbe piegare con la stessa logica folle ed arrogante, anche le leggi naturali. Un modello di sviluppo che ha impoverito con l’ambiente naturale, anche la capacità di reagire delle comunità indebolendone le strutture sanitarie, gli istituti di ricerca, le istituzioni di cura e monitoraggio dei territori.
Realizzare il futuro, non ricostruire il passato.
Nei prossimi mesi la ripresa delle attività, non solo economiche, e il conseguente monitoraggio della curva epidemica, saranno un banco di prova non solo per capire se possiamo convivere con questo o altri virus, ma anche se il sistema politico globale è in grado di governare una crisi profonda e pervasiva paragonabile forse solo agli eventi bellici dello scorso secolo.
E sarà in questi mesi che giocheremo una partita fondamentale. Una partita che mette in gioco non solo la ripresa economica, ma anche la capacità di determinare il modello di sviluppo che si vuole perseguire e con esso quali interessi privilegiare, quale futuro programmare, in quale paese, in quale Europa e in quale pianeta vogliamo vivere.
Non è solo un problema riconducibile a questioni sanitarie, di salute e sicurezza,peraltro importantissime, ma è anche un’occasione per ridiscutere come, cosa e per chi produrre. Non è solo un questione economica, ma anche una questione squisitamente democratica, che mette in gioco livelli di occupazione, salvaguardia dei diritti, produzione e ridistribuzione della ricchezza.
La semplicità che è difficile a farsi
Innanzitutto vanno difesi gli accordi di Parigi 2015.
Se dobbiamo portarci dietro qualcosa del passato, questo è sicuramente le responsabilità e la fatica di quel percorso e gli impegni, a volte insufficienti, che la comunità internazionale ha preso per abbattere le emissioni di gas climalteranti in atmosfera. La riduzione di emissioni registrata a seguito dei provvedimenti per l’emergenza COVID-19 è la prova lampante che quegli accordi poggiavano su una base scientifica solida e che non possono essere rimessi in discussione.
Vanno quindi respinti tutti i tentativi di dilazione/riduzione dei limiti di emissione,imposti, ad esempio, all’automotive dove le case costruttrici oggi già chiedono che gli incentivi previsti siano “tecnologicamente neutrali” e controllare che questo non avvenga in altri settori (si pensi soprattutto all’agroalimentare).
Ma la partita decisiva si gioca sul terreno scivoloso dell’indirizzo politico ed economico che si dovrà dare alla ripresa delle attività produttive. Abbiamo, nella tragedia di una pandemia devastante, l’occasione e il dovere di orientare decisioni politiche che sappiano affrontare i nodi dello sviluppo nell’ambito della necessaria e non più rinviabile riconversione ecologica.
La campagna #RitornoAlFuturo lanciata dai ragazzi di Fridays For Future, cui la CGIL ha aderito, è già il compendio di un programma di governo per lo sviluppo sostenibile.
La transizione energetica, alla base di ogni processo produttivo, è oggi possibile se si prende con decisione la strada degli investimenti in energie rinnovabili che oggi risultano anche economicamente vantaggiosi e meno esposti ai rischi di instabilità politica nel confronto con i combustibili fossili.
E’ chiaro che oggi un cambiamento di paradigma di queste dimensioni, che sappia rimettere al centro del proprio orizzonte politico le persone e le comunità, richiede un forte impegno del pubblico nell’economia. Sarà necessario un ruolo forte dello Stato in grado di mettere in campo una capacità di governance che sappia promuovere investimenti in direzione della sostenibilità ambientale, che sappia innescare il coinvolgimento attivo delle parti sociali, che riesca ad attivare quelle dinamiche produttive che abbiano lo sguardo lungo verso il futuro.
Guardare il futuro significa anche investire in istruzione, ricerca, sanità, presidio e cura dei territori più esposti agli eventi naturali, analizzare il bilancio costi/benefici delle opere pubbliche favorendo quelle di prossimità (il break even delle emissioni di CO2 di un opera come la TAV è minimo a 15 anni, molto meno oneroso mettere in sicurezza le linee ferroviarie locali).Sono iniziative che, è ormai ampiamente dimostrato, hanno ritorni positivi a breve-medio termine su occupazione, creazione di ricchezza, qualità della vita e dell’ambiente.
Il metalmeccanico ecosostenibile
In questi anni la principale categoria dell’industria ha dovuto affrontare due momenti di grande tensione economica. Da una parte l’uscita lenta e difficile dalla devastante crisi del 2008 e dall’altra una profonda ristrutturazione tecnologica che molte aziende già cominciavano a praticare. E’ in questa fase delicata che si viene a collocare l’emergenza della pandemia COVID-19 e la categoria si troverà davanti un’altra difficilissima ripartenza, in una situazione di grande incertezza rispetto alla questione sanitaria e in un panorama politico e sindacale non proprio favorevole.
Nonostante questo, essere la più importante categoria dell’industria per capacità produttiva e per rappresentanza sindacale consegna ai metalmeccanici la responsabilità di assumere un nuovo protagonismo al tavolo delle scelte di politica industriale dei prossimi mesi, soprattutto per l’ampio spettro di attività rappresentate che vanno dalle grandi aziende energivore, a quelle coinvolte nella mobilità, nei trasporti, nel lavoro agricolo (non si esce dal fossile senza investimenti nell’elettrico),fino alle principali aziende di informatica(smart city ed efficienza energetica).
“Nulla sarà come prima” è ormai una allocuzione di dominio comune che da qualche giorno viene agitata come minaccia dal nuovo gruppo dirigente di Confindustria e dobbiamo essere consapevoli che, nella prossima fase di uscita dalla crisi, la FIOM e i sindacati metalmeccanici potranno giocare un ruolo importante nell’orientare scelte industriali ed economiche. Tanto più se riusciranno ad interpretare e trasmettere la richiesta di innovazione e sostenibilità che arriva forte dalla parte più avanzata del nostro paese.
La FIOM ha sempre sostenuto le iniziative per la giustizia sociale e climatica e ha cercato, là dove era possibile, di tenere insieme nella contrattazione i diritti del lavoro e quelli dell’ambiente. Oggi c’è bisogno di un ulteriore salto di livello. La capacità di analizzare i cicli produttivi, la loro componente energetica e il loro impatto ambientale, riuscire ad inserire nella contrattazione elementi di efficientamento e di risparmio energetico,di progressivo disimpegno dalla dipendenza dai combustibili fossili verso fonti di energia rinnovabili, di intervento nel controllo delle emissioni e di facilitazione della mobilità casa-lavoro.
E’ necessaria ovviamente una forte rivoluzione culturale delle stesse strutture sindacali che deve passare attraverso una formazione specifica che sappia legare diritti del lavoro e diritti ambientali, che riesca a connettersi con le forme di partecipazione ed associazionismo impegnate in prima persona nella difesa dell’ambiente e del territorio e che riesca a far calare anche nella contrattazione nazionale i temi della sostenibilità ambientale.
E’davvero improponibile, in questo passaggio di rinnovo del CCNL Metalmeccanico,ragionare sul possibile inserimento di alcuni strumenti contrattuali, di costo relativo,che riguardano ad esempio i diritti di informazione su emissioni e consumi energetici e le competenze dei delegati RLSA, estendendoli a quelle ambientali?
Il recente documento della CGIL ” Dall’emergenza al nuovo modello di sviluppo – Le proposte della CGIL” accoglie gran parte delle urgenze che il mondo del lavoro avrà davanti nei prossimi difficili mesi di uscita dall’emergenza e getta le basi per una diversa visione dello sviluppo industriale inserito anche dentro un’ottica Europea ed internazionale. E’ un primo grande passo ed è un importante strumento per l’avvio di una stagione che non sarà semplice, come dimostrano anche alcune dichiarazioni del neo eletto presidente di Confindustria, ma che sui temi dell’ambiente e della salvaguardia del pianeta possono creare quel consenso e quella partecipazione indispensabili per poter riequilibrare i rapporti di forza tra lavoro ed impresa, tra
ambiente e profitto.
Ettore Torregiani
Per la FIOM CGIL ROMA E LAZIO
Roma, 19 maggio 2020
Sede : Via Buonarroti 29/a Roma tel, 06 4467253 mail fiom@lazio.cgil.it
covid 19 e modello di sviluppo