di Tommaso Cerusici *
Qual è la genesi di questo contratto?
Il contratto nasce con due piattaforme sindacali distinte, quella della Fiom da una parte e quella di Fim e Uilm dall’altra. A queste due va aggiunta la proposta di Federmeccanica, chiamata “rinnovamento contrattuale”, proprio per dare l’idea di un’ipotesi di cambiamento totale della struttura del contratto nazionale. Queste erano le premesse e, invece, oggi siamo di fronte ad un accordo unitario, sottoposto all’approvazione dei lavoratori tramite il voto.
È la prima volta che un contratto nazionale parte con due piattaforme separate e si conclude con un accordo unitario. Noi veniamo da 15 anni di intervalli tra accordi separati e accordi unitari (negli ultimi 8 anni sempre e solo accordi separati), quindi da un situazione estremamente complessa.
Noi come Fiom abbiamo sempre pensato che non si sarebbe trattato solo di rinnovare un contratto ma che quest’ultimo andava riconquistato e ricostruito, perché il mondo del lavoro è cambiato con la precarietà, il mercato globalizzato e la struttura stessa delle aziende. O si ricostruisce qualcosa che tiene tutti dentro o non è più un contratto nazionale. Di questo – penso anche alla stesura della nostra piattaforma – ne siamo sempre stati convinti.
Un ottimo risultato aver raggiunto un’intesa unitaria, in una fase dove non sono mancate le contrapposizioni anche tra le stesse organizzazioni sindacali…
Certo. La vera novità è che – se tutto va come abbiamo concordato – non ci potranno più essere accordi separati dei metalmeccanici in futuro. Perché abbiamo inserito nel teso dell’accordo le precise modalità di validazione dei contratti nazionali e della contrattazione di secondo livello – anche per quanto riguarda il regolamento delle Rsu – sancendo che l’ultima parola spetta sempre e comunque ai lavoratori. E se i lavoratori, tutti i lavoratori, possono votare liberamente i contratti che li riguardano vuol dire che qualsiasi cosa ne uscirà sarà il contratto di tutti i metalmeccanici, non solo di una parte, grande o piccola che sia. Da questo punto di vista abbiamo portato a casa una storica rivendicazione della Fiom, che nasce ai tempi di Sabattini e che ha continuato a vivere nelle nostre parole d’ordine anche in questi anni in cui l’unità sindacale non è mai stata organica ma, al massimo, sui singoli temi. Abbiamo affermato che l’unità di chi lavora la si ricostruisce con la democrazia, il voto e la partecipazione.
Un accordo che – mi pare di capire – recepisce anche il testo unico sulla rappresentanza di Cgil, Cisl e Uil. Ma la Fiom non era contraria a quanto prevedeva quel testo?
Come Fiom abbiamo lungamente avversato il testo unico – basti pensare al congresso della Cgil del 2014 che, dopo essere partito unitario, è arrivato con due posizioni separate – sia per questioni di merito che di metodo. Detto questo, quando il testo unico sulla rappresentanza è stato approvato dalla maggioranza dei lavoratori, anche noi ci siamo impegnati a recepirlo nella piattaforma contrattuale, modificandolo però negli aspetti che non ci piacevano e valorizzando le parti convincenti. Io credo che questo sia un grandissimo risultato raggiunto dalla Fiom, nonostante non sia ancora prevista la certificazione della rappresentanza. Ma la controparte sa bene che la Fiom è molto rappresentativa – penso al rinnovo delle Rsu o al voto sugli Rls – e questo è stato dimostrato dal fatto che Federmeccanica ha scelto di non escluderci dal tavolo, come nel 2012.
Come dicevi poco fa si tratta di un accordo votato da tutti i lavoratori tramite apposito referendum…
Il referendum per approvare l’esito dell’accordo è stato sottoscritto non solo dalle organizzazioni sindacali ma anche dalla controparte, con un apposito testo allegato al contratto. E questo mi sembra un ulteriore aspetto significativo. L’80% dei metalmeccanici ha detto sì a questo contratto e la partecipazione è stata molto buona, se consideriamo anche il fatto che rispetto all’ultimo contratto unitario – quello del 2008 – non partecipavano al voto, perché fuori da questo accordo, i lavoratori di Fca e quelli aderenti a Confapi.
Saremo impegnati nei prossimi mesi a scrivere le regole che valorizzino iscritti e lavoratori, mettendo insieme storie diverse. Sappiamo bene che è importante valorizzare anche gli iscritti in questa fase, perché sono quelli che ci sostengono con la loro tessera. Definiremo quindi come validare comunemente gli accordi, sia quando la si pensa allo stesso modo sia, soprattutto, quando la si pensa diversamente. Abbiamo già inserito nel regolamento delle Rsu che, in base alla richiesta di un’organizzazione sindacale o del 30% dei lavoratori, è previsto il voto sulla contrattazione di secondo livello. Questo, ad esempio, è un punto che non era previsto nel testo unico sulla rappresentanza approvato da Cgil, Cisl e Uil. Sempre con questo spirito, abbiamo superato il problema delle sanzioni, proponendo invece delle procedure di raffreddamento e abbiamo modificato l’articolo 5 sulle deroghe, che era stato introdotto nell’accordo separato del 2009 da Fim e Uilm. Lo abbiamo fatto perché quell’articolo consentiva di derogare sul salario, prevedendo proprio su questo punto “l’intesa con le organizzazioni sindacali”, in modo da non lasciare sole le Rsu nel momento di maggior bisogno e per impedire il disfacimento del contratto a livello aziendale. Per la Fiom questo significa – anche attraverso una probabile modifica statutaria per rendere tale decisione più forte – che il contratto nazionale può essere modificato solo da chi l’ha firmato, quindi solo dalla struttura nazionale unitariamente. Insomma, il rischio che le deroghe rappresentino il disfacimento del contratto lo abbiamo bloccato e siamo contenti di aver modificato il testo unico, rendendolo positivo. Siamo gli unici che hanno scelto questa strada.
Per la prima volta, non solo noi ma tutte le categorie che stanno rinnovando i contratti in questo periodo, ci troviamo a fare un rinnovo contrattuale senza una struttura confederale di riferimento, perché – attualmente – non esiste un modello firmato da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria. Ognuno, non solo i metalmeccanici, sta facendo da sé e questo ci mostra anche delle differenze tra le varie categorie.
Un contratto che – almeno nella piattaforma iniziale della Fiom – guardava anche alla struttura annuale del salario. Come nasce questa proposta?
Consapevoli di trovarci in una fase di deflazione e di crisi economica non ancora superata, abbiamo scelto un cambio di strategia, proponendo una struttura del salario annuale. Quella che alla fine è passata nel contratto nazionale non è propriamente ciò che avevamo in testa, perché noi pensavamo al modello tedesco che tiene insieme inflazione e produttività, ma siamo arrivati a una sorta di “scala mobile” contrattuale, cioè abbiamo l’inflazione reale a giugno che va in busta paga di anno in anno, all’interno di un accordo sperimentale sul salario. Ciò significa che, per questo triennio, parliamo d’inflazione reale (non di quella programmata), calcolata attraverso l’indice Ipca – che è oggi il più favorevole nonostante sia depurato dalle questioni energetiche – ma nulla vieta che nel prossimo contratto non si possa andare oltre. Certo, dipende sempre dalla forza che riusciremo a mettere in campo.
Veniamo alla controparte di questa lunga trattativa, durata più di un anno e che ha visto la messa in campo di un pacchetto di 20 ore di sciopero. Che Federmeccanica avete trovato e quali erano le su posizioni originarie?
Federmeccanica si è presentata al tavolo con una precisa proposta di “rinnovamento”: il superamento dei due livelli di contrattazione; un salario di garanzia che riguardava solo il 5% dei metalmeccanici, perché erano previsti un assorbimento e una sovrapposizione totali tra primo e secondo livello; la volontà di proseguire sulla strada dell’allungamento degli orari di lavoro e della loro gestione unilaterale da parte delle aziende; l’introduzione di un istituto legato alla presenza. Quest’ultimo punto avrebbe rappresentato qualcosa di molto grave, mai neanche immaginato nel contratto dei metalmeccanici. Si voleva legare una parte di Par (permessi annui retribuiti, che vengono da riduzioni di orario o da ex festività) alla presenza. Questo è uno dei punti su cui Fim, Fiom e Uilm si sono trovate in disaccordo con Federmeccanica – penso anche alla questione dell’abolizione degli scatti e del salario di garanzia – e ciò ha consentito di fare scioperi unitari, che hanno spostato la controparte.
Di che entità sono gli aumenti salariali previsti nel contratto? Quale valutazione dai in merito a questa componente dell’accordo?
Siamo in una fase di deflazione profonda o comunque di bassissima inflazione e quindi dobbiamo sapere che quando parliamo di un salario legato all’inflazione stiamo parlando più che altro di principi, di quale è la salvaguardia del potere d’acquisto del contratto nazionale più che della consistenza monetaria in sé. Vorrei però ricordare che dal 1993 in poi nessun contratto di nessuna categoria – compresi i metalmeccanici – ha previsto minimi che andavano oltre l’inflazione. E sappiamo bene anche l’importanza di definire i minimi. Non solo perché rappresentano quella parte di paga base che incide sulla pensione, il Tfr, gli straordinari, i turni, etc. Basti pensare che l’assenza dei minimi in Fca (dato che lì è previsto un solo livello) ha portato già oggi quei lavoratori a guadagnare 76 euro in meno rispetto ai loro colleghi e quando questo contratto andrà a regime la differenza salariale crescerà ancora di più. Questo lo dico perché, se facciamo una previsione rispetto all’andamento dell’inflazione sui minimi, che verranno rinnovati di anno in anno, stiamo parlando di 51/52 euro. Non parliamo di grandi cifre – e su questo non voglio nascondermi – ma abbiamo riaffermato un principio che Federmeccanica voleva eliminare e sul quale abbiamo battagliato fino all’ultimo. Abbiamo portato a casa – a mio avviso – un contratto che è molto “francescano” dal punto di vista delle risorse: 52 euro sono pochi, perché l’inflazione è bassa e ci si limita al recupero del potere d’acquisto dandolo a posteriori, ma è un contratto che dal punto di visto normativo ha degli elementi importanti e, soprattutto, non prevede scambi al ribasso.
Nel corso della trattativa a cosa avete dovuto rinunciare per raggiungere un accordo?
Non abbiamo ceduto su tantissimi punti ma, certo, anche noi abbiamo dovuto accettare dei cambiamenti: ad esempio la questione dell’inflazione ex post, un’inflazione che però è data al 100%, non c’è un decalage – come proposto inizialmente da Federmeccanica tramite la formula 100% il primo anno, 75% il secondo e 50% il terzo – e va a tutti i lavoratori. Penso che questo sia un altro punto significativo del nostro contratto e noi in piattaforma chiedevamo che una parte del salario fosse detassato e defiscalizzato, perché le leggi che si stanno facendo – finanziaria compresa – vanno tutte nella stessa direzione: 100 euro date in azienda valgono 100, 100 euro date dal contratto nazionale valgono 50. Questo produce lo spostamento dell’interesse dei lavoratori verso la contrattazione di secondo livello e la perdita di senso del contratto nazionale. Questo è stato impedito, pretendendo che una parte vada detassata per tutti, perché non tutti hanno una contrattazione di secondo livello.
Veniamo agli aspetti principali di questo contratto. Partirei dal welfare aziendale, di cui si sta parlando molto in queste ultime settimane…
Dentro questo schema abbiamo introdotto nel contratto nazionale il welfare: benefits tutti da pensare e da costruire, dal sostituto d’imposta per gi asili nido, ai libri scolastici ma anche buoni spesa, tutto dipende da come questa discussione viene indirizzata. Noi abbiamo ritenuto opportuno inserire il welfare nel contratto nazionale – e lo rivendichiamo – per due motivi: uno, perché fino ad oggi lo hanno gestito in gran parte le aziende in maniera unilaterale, due, perché sappiamo che c’è chi ci sta costruendo sopra degli affari finanziari di una certa consistenza. Abbiamo invece voluto imporre un meccanismo di controllo con l’intervento del sindacato, garantendo così ai lavoratori di poter gestire direttamente queste risorse secondo le loro esigenze. Non fare questa scelta avrebbe significato accettare il fatto che solo i lavoratori dei grandi gruppi o di alcune aziende particolarmente avanzate avrebbero avuto il welfare aziendale mentre tutti gli altri non avrebbero avuto niente. Con il contratto nazionale abbiamo esteso questa possibilità anche a chi non lo avrebbe mai avuto e abbiamo introdotto il principio che si contratta e si vigila quanto contrattato.
Un ulteriore punto di interesse e discussione riguarda il tema della sanità integrativa, che è entrata nel contratto. Come si tiene insieme questo punto con la difesa della sanità pubblica nel nostro paese?
Abbiamo introdotto una concezione assolutamente diversa e importante sulla sanità integrativa -anche questo un elemento che le grandi aziende già hanno e le piccole no – in una fase in cui la sanità pubblica è pesantemente sotto attacco. Si tratta di una struttura di sanità integrativa, che va a tutti i lavoratori metalmeccanici, pagata interamente dall’azienda 156 euro, aperta ai lavoratori in mobilità, in NASPI, ai precari, ai loro familiari. Un fondo che – ci dice Federmeccanica – diventerà il più grande d’Europa, più di tre milioni tra metalmeccanici e familiari e che sarà totalmente integrativo alla sanità pubblica, attraverso l’utilizzo dei ticket sanitari. Io penso che questa scelta potrà rafforzare la sanità pubblica, perché se il fondo più grande d’Europa – insieme ad altri fondi di altre categorie – ragiona con le Regioni di come implementare certe prestazioni e certi servizi, tutto questo non andrà a beneficio dei soli lavoratori dipendenti ma di tutta la collettività. Questa almeno è la nostra scommessa.
Si introduce il tema del diritto alla formazione continua del lavoratore. Mi sembra un passo avanti di notevole importanza…
Certo. Abbiamo rafforzato la questione della formazione. I metalmeccanici si sono inventati le 150 ore negli anni Settanta e oggi l’abbiamo estesa anche all’università. Abbiamo introdotto un altro istituto, cioè quello della formazione continua, il diritto alla formazione per tutti collegata al lavoro, alla riqualificazione e all’inquadramento. Fino ad oggi questo era un diritto che non c’era e l’azienda metteva in formazione solo chi voleva. Adesso vengono previste 24 ore nel triennio per la formazione e, qualora l’azienda non metta il lavoratore in formazione, 300 euro per studiare da solo. Abbiamo sancito un principio importante: la formazione continua è un diritto individuale e sta dentro l’orario di lavoro, con lo stesso meccanismo delle 150 ore, 2/3 la paga l’azienda e 1/3 la paga il lavoratore.
Ultimo aspetto di una certa importanza, in merito agli elementi che vanno a costituire il contratto, riguarda la questione degli assorbimenti. Cosa mi dici in merito?
Sì, gli assorbimenti sono molto importanti. Perché noi avevamo il tema che, da un lato, volevano darci solo una parte d’inflazione e, dall’altro, che ci volevano assorbire tutto il resto. Questo è stato il momento più complesso e più difficile della trattativa. Io credo che sia stato fatto un grandissimo lavoro rispetto a quelle che erano le premesse.
L’accordo del 1993 dice che il salario aziendale è “totalmente variabile” e i metalmeccanici, nel contratto del 1994, scrissero che è “anche totalmente variabile”. Ora l’“anche” non c’è più e siamo quindi tornati alla situazione del 1993. Tutto quello che è stato contrattato prima non può essere in alcun modo riassorbito; tutto quello che è legato alla prestazione lavorativa (che siano turni, indennità, o qualunque altro elemento) non può essere assorbito; tutto quello che l’azienda darà come super minimi individuali non sarà assorbibile laddove esplicitamente specificato. Insomma, riuscire ad inserire la specifica di non assorbibilità dipenderà da quanta forza collettiva riusciremo a mettere in campo. Tutto questo ci impone di ritornare a ragionare di contrattazione, di recuperare una capacità di contrattazione di secondo livello legata alla prestazione di lavoro. Io credo che questo contratto abbia, da una parte, introdotto la democrazia e quindi l’unità tra i lavoratori e, dall’altra parte, abbia salvaguardato sul serio i due livelli di contrattazione, introducendo anche degli elementi di novità importanti.
Il contratto dei metalmeccanici, da sempre, rappresenta un modello di cui si discute molto nelle altre categorie e nella Cgil tutta. Pensi che aiuterà ad avviare una discussione condivisa su temi “caldi” come il welfare aziendale e la sanità integrativa?
Il nostro accordo mette in fibrillazione, perché ci sono altre trattative nazionali aperte e inevitabilmente quello dei metalmeccanici diventerà un punto di riferimento.
La discussione in Cgil e nella Fiom di cosa sia il welfare, se sia giusto metterlo nel contratto nazionale, è una discussione aperta e complessa. C’è chi pensa che quella sia una parte su cui possono contrattare solo le Rsu, nella contrattazione di secondo livello. Noi, invece, pensiamo che vada contrattato dalle Rsu insieme al sindacato, perché vogliamo che diventi un istituto defiscalizzato, universale e vigilato dai lavoratori e non una grande operazione finanziaria.
Stesso ragionamento vale per l’accordo annuale sul salario o sulla sanità integrativa: non sono ragionamenti chiusi ma abbiamo provato – tramite questo accordo – a tracciare una strada.
Poi certo c’è anche chi si preoccupa già del prossimo congresso. La Fiom pensa che vada avviata una fase in cui il pluralismo sindacale – che rimane un valore fondamentale – non necessariamente debba avere una ricaduta congressuale in mozioni alternative, così come abbiamo assistito fino ad oggi in una situazione che si è anche un po’ sclerotizzata. C’è sempre qualcuno che è abituato a una vita di mozioni e posizionamenti che probabilmente è già un po’ in allarme. E diciamo che alcune delle valutazioni sul contratto dei metalmeccanici – che ho sentito in queste ultime settimane – non sono esenti da questi ragionamenti.
Che ruolo ha avuto la politica – in particolare il governo Renzi – nella risoluzione della vertenza per il rinnovo del contratto?
Storicamente i contratti dei metalmeccanici si chiudevano sempre con un intervento politico di questo o quel governo o di questo o quel ministro. C’era, insomma, una mediazione politica. Questa volta abbiamo dovuto fare tutto da soli, perché la politica – almeno negli ultimi anni – ha fatto solo leggi a favore dell’impresa e contro il lavoro.
Ci siamo trovati – per la prima volta nella nostra storia – ad un tavolo per il rinnovo del contratto nazionale a chiedere esplicitamente alla nostra controparte di non applicare questa o quella legge fatta dal governo. E, rispetto a questo, bisogna dirci chiaramente che non abbiamo ottenuto molto: né sugli appalti, né sui licenziamenti. Non a caso ci sono i tre referendum della Cgil che intervengono su questi temi: appalti, voucher e Articolo 18. Perché l’unico strumento per modificare una brutta legge è un referendum abrogativo, ed è quello su cui saremo impegnati come Fiom nei prossimi mesi. Poi, certamente, resta il tema politico: avere una legislazione che sia almeno non ostile al lavoro è ormai una necessità. Se si continua su questa strada – e lo hanno dimostrato i giovani con il voto al referendum costituzionale – possono anche continuare a raccontarci che si sta facendo la legislazione più moderna del mondo ma non ci crede più nessuno, perché si stanno solo togliendo diritti pezzo dopo pezzo.
* pubblicato sul numero 194 di “Inchiesta”, gennaio 2017